Il Teatro un giorno ti incontra per strada o nella semioscurità di una sala. Ti spoglia di quanto sapevi, senza farti restare nudo. Ti fa riconoscere dietro le tue maschere ed annulla la distanza da esse. Ti restituisce all'umiltà dell'ascolto. In questo luogo, sei invitato a darti quale sei, uno in più dei centomila personaggi già incontrati.

venerdì 25 marzo 2011

Drammaterapia, La Relazione attraverso il Filo


@ Libertà
Un giorno, non si sa perché, incontro il teatro e così accade che incontri la relazione e un filo che mi permette di vivere un rapporto completamente diverso, senza parole, con uno spazio alle fantasie protette dal silenzio e ti accorgi che senti l'altro, in una nuova dimensione, e tutto questo mi porta dentro uno stato d'animo nuovo, libero. L'altro non è alto, basso, biondo, moro, uomo o donna, non è più classificato, ma vissuto attraverso quella relazione. E così sei fuori dal conflitto che governa la tua vita, perché –diciamolo- in quasi tutte le relazioni, cerchiamo di affermare quello che pensiamo, costruiamo. Vivere le relazioni come fossero un filo ipotetico tra noi e gli altri, ecco sembra impossibile: i fili non si vedono, ma l'altro percepisce la nostra difesa, si difende a sua volta e torna la guerra dentro. Non il conflitto per la sopravivenza, ma quello delle nostre paure. Il filo è una metafora che racconta l’autenticità.

@ Pulcinella
Il simbolo, la metafora e il gioco mi sono diventati più amici. La fiaba e il mito mi accompagnano, accendono alcune scintille e queste aprono i sensi. Mi accorgo delle resistenze, sul mio corpo, censuro le emozioni, le imprigiono, non gli permetto di tradirmi… la voce, il gesto, il timore dell’eco dentro e fuori: ho di nuovo attivato protezioni e schermature.
Poi, l’incontro: due anime diverse, casuali, ciascuna con il proprio vissuto di gioie e difficoltà non ancora risolte. Tra le mani un piccolo filo dorato ad unire a due a due questi mondi dissimili, eppure così uguali tra loro. Gli occhi dell’uno a scrutare quelli dell’altro, a cercare coraggio. Un pozzo profondo e buio nasconde tanti ricordi e tante, troppe, emozioni.. Il piccolo filo dorato teso tra loro diviene allora un superconduttore… di quelle. Dopo un po’, però, quasi per magia, resta teso tra loro, come divenuto una bacchetta magica: lo sguardo ora è diverso. L’altro non è più l’altro. Questo è il loro magico presente. Al futuro? Ci penseranno poi.

@ Nero
Quante volte il rapporto con l’altro tocca la nostra esistenza, modifica la traiettoria, la spinta, la guida, lo stop? Quanto di personale nella “relazione”? Come un banditore d’asta offre un oggetto decantandone le qualità e il valore. Un valore, appunto, del tutto personale. La tendenza a non considerare l’altro di vitale importanza, per quella paura primordiale di essere “abbandonato”, che ti fa avvicinare alla relazione con un’idea rigida, preformata. Ma per parlare di relazione bisogna essere almeno in due… Nella vita o quando ci impegniamo nel gioco dei fili, o quando ci misuriamo nello spazio che ci circonda con un filo. Oppure non riusciamo a compiere un gesto, il timore di dire ciò che pensiamo, di dichiarare apertamente quello che del rapporto ci fa soffrire, non ci rendiamo responsabili della buona salute della relazione. Se quel filo immaginario si allenta e il rapporto cade, se tiriamo troppo e lo perdiamo, la comunicazione non ha più senso di esistere, perché l’altro non c’è più: siamo soli, Tentare di riprendere il filo di un rapporto nuovo, nella speranza autentica che sia diverso.

mercoledì 16 marzo 2011

AUGURI ITALIA!

L'Arte, lo abbiamo ripetuto più volte su questi spazi, possiede uno "spettacolare" valore profetico. Non solo è simulacro di quanto di sociale e dunque politico avviene, ma è "crisalide" alle future ed imminenti avventure dell'Uomo. Il Teatro, non si sottrae a questo destino, anzi da questo nasce e dentro esso si sviluppa, occhio che può spaziare indietro e in avanti, arricchendo il presente dei presagi e delle memorie. Ed il teatro di due secoli fa fu come un vento che soffia tra le scene di opere maggiori e minori, con battute allusive e riferimenti alla "libertà dallo straniero", all'anelito verso l'Unità del Regno, con il dito puntato verso un clericalismo che imprigionava spesso (troppo spesso) libertà, sentimenti, cultura ed evoluzione. Teatro cospiratore in fondo, che usa i drammi del passato per rievocarli in uno spirito di edizione però presente, a spingere in avanti le speranze di quei nostri lontani compagni di viaggio. Giambattista Niccolini nè è un esempio e vorrei davvero che i miei allievi potessero approfondirne il pensiero, così' lucido, fiero e - si dimostrò- appunto profetico.
Auguri Italia, auguri nelle tue sciagure e pettegolezzi, auguri anche se devi ritirarti su le braghe perchè ora non hai l'alibi dello straniero e neanche devi avere quello degli "stranieri", ma le tue vicende, con il teatro inutile del gossip politico che devi cancellare dalla tua agenda.
Auguri Italia che fatichi a sbarcare il lunario, che ti inventi gli scienziati ed a fatica li trattieni, che non devi mai aver paura di difendere la libertà di espressione, ma anche la civiltà della stessa. Auguri Italia con i fondi per lo spettacolo congelati, promessi, negati.
Auguri Italia per i tuoi sforzi, la tua storia, la tua passione ed auguri a questi uomini e donne sconosciute dell'Italia che spero davvero siano sempre più rappresentati
Auguri miei "attori". Director

venerdì 11 marzo 2011

Drammaterapia: leggere le ombre

Nel corso di un Laboratorio sulla "Psicosomatica", tenutosi lo scorso anno (riprodotta la locandina qui a lato), abbiamo discusso di quanto per l’attore –e maggiormente l’attore in drammaterapia- sia importante esperire ed insieme riflettere cosa del corpo influenzi la psiche e quanto  quest’ultima ingeneri riflessi somatici. Il codice che ho appena usato –essenziale sottolinearlo- è in realtà obsoleto, in quanto riflette la superata nozione di corpo e psiche quali unità distinte, con una reciproca influenza che può essere misurata, valutata, persino curata. Le cose non stanno effettivamente così: l’unità corpo e psiche è indisgiungibile e dunque inseparabile nell’analisi di qualsiasi fenomeno riguardi l’individuo. La nostra mente riassume costantemente l'esperienza del corpo. E’ piuttosto la fonte dei segnali (apparentemente solo fisici o solo psichici) ad attrarre la nostra attenzione, ad addolorarci o darci piacere, ad essere il punto di partenza per la nostra riflessione; in realtà ogni fenomeno è psicosomatico e dunque somato-psichico. Tuttavia, dato che in questa sede si parla di quanto l’attore può osservare ed utilizzare attraverso le proprie percezioni, sensazioni ed emozioni e dato che siamo tutti lontani dall’aver raggiunto livelli di coscienza così “sottili” da percepire ogni fenomeno in noi come “unitario” (per dirla con Maslow, ci situiamo ancora a gradini piuttosto bassi della sua “scala di valori” e dunque giudizio), può tornare utile, strumentalmente, parlare di psicosomatica. Far riflettere l’attore dramma terapico sul fatto che se incontra una “resistenza” alla interpretazione di un dato ruolo, di una determinata parte, nessuna tecnica da sola potrà aiutarlo a superare quello che viene giudicato un apparente “ostacolo”, se invece non lo interpreterà come un utile “segnale al confine” che gli sta indicando qualcosa di lui, momentaneamente incomprensibile.

Ho indicato questo “inciampo” del percorso attoriale “segnale al confine”, ma di quale confine stiamo parlando? Non si allude solo al giudizio di “significativo”, giacchè ogni errore di per sé è comunque significativo, ed è quindi bene fare un piccolo passo indietro, verso la teoretica della dramma-terapia nel suo aspetto antropologico e psicodinamico. Confine è un limite astratto che qui adottiamo al posto di “luogo oltre il quale finisce il conosciuto” e, dato che parliamo di “segnale”: qualcosa ti sta avvisando che sei giunto alla soglia del territorio che tu conosci. Cos'è che invia questo segnale, quale il mittente? Si è realizzata una dinamica inconscia che ha posto l’individuo nell’imbarazzo “formale” (=conscio) di trovare risposte adattive alla situazione in atto, proprio perché qualcosa di “irrisolto”, “rimosso” o semplicemente mai affrontato è giunto a sollecitare sensi ed attribuzione di senso nell'area che noin è sotto il dominio della coscienza ordinaria. In dramma-terapia, il processo dramma- terapico lavora proprio in questa dimensione: la pratica ritualistica di esercizi atti a far esperire parti sconosciute o nascoste del proprio Sè induce al confronto con zone inesplorate della nostra psiche e, sollecita fantasmatiche che inizialmente possono male coniugarsi con il "copione" in questione, quello conosciuto di noi stessi, ovvero della parte in prescrizione performativa. Quello che ho definito “imbarazzo” coglie l’attore improvvisamente, nel silenzio della sua consapevolezza, ma a volte nel fragore di quelli che ora possiamo per comodità definire riflessi “psicosomatici”: il pianto, l’ilarità, persino la noia, il sonno, la stanchezza, l’eccitazione, il rapimento verso modificazioni più o meno importanti dell’ordinario stato di coscienza indicano che vi è un “tentativo di catarsi” in atto, il, cui esito non è certo, ma sicuramente importante ed utilizzabile. Tutto questo sia nella dimensione individuale che gruppale della dinamica fisica e psicologica.

Vi ripropongo quanto già detto in quella sede al gruppo allargato con numerosi ospiti. Director

”Oggi di Psicosomatica si parlerà attraverso corpo & anima di voi attori, giacchè è psicosomatico a volte un sintomo fisico, sono tutte psicosomatiche le nostre emozioni espresse attraverso il corpo. Forse fa eccezione lo sbadiglio (che può però dirla lunga di qcome stiamo reagendo ad esempio ora al mio discorso; ma non quello da contagio, ad esempio, trasmesso da chi ci è vicino, mentre lo “esegue”, perché, in quel caso, la riproduzione del gesto dell’altro passa per la nostra percezione e riflesso psichico.
Il corpo dell’attore non è un contenitore di emozioni, né quest’ultime possono ovviamente esistere senza il suo corpo. L’attore che recita è dunque l’espressione figurata (ma sensibile e vivente) di quanto la realtà psicosomatica sottenda l’intimo collante tra il nostro gesto ed il “significante”. Egli è simulacro dell’esperienza umana, un cristallo che si offre specchio alla nostra presenza, che fa potenzialmente vibrare allunisono chi assiste, come un cristallo. Ciò di cui si è "spettatori", in effetti, è lo “spettacolo” del teatro, quell’incontro assolutamente partecipativo tra recitante e spettatore (Grotowsky), incontro “costitutivo” intendo dire. Per questo oggi ho scelto di parlare di psicosomatica e attraverso due brevi pieces, estemporanee, se si valuta che le ho scritte negli ultimi tre giorni, ma significative se descrivono intimamente il punto di arrivo ed insieme partenza di alcune tematiche venute allo scoperto nel nostro lavoro con la dramma terapia. Il processo dramma terapico scava, esplora e porta alla luce attraverso passaggi e percorsi che sono psichici e fisici e relazionali. Lo spazio delle significazioni allora si estende oltre l’anima ed il corpo del soggetto, permeando e modulandosi nell’esperienza con l’altro. Anche questo spazio più dilatato diventa psicosomatico, alla stessa stregua di quanto lo è, per un soggetto allergico alla lattuga, leggere la parola “lattuga” su una rivista. Le nostre crisi allergiche, nel lavoro della drammaterapia, ci parlano di noi separati o negati, inespressi. Guai a dare un antistaminico, peggio che mai il cortisone. Questo aiuterebbe perversamente a sopportare per sempre il compromesso delle malattie dell’anima.
Perché la psichiatria organicista, quella che impiega i farmaci per intenderci, utilissimi, anzi in alcuni casi indispensabili per alleviare le condizioni di chi soffre, non ascolta con una certa continuità e frequenza le parole
che sgorgano dalla sofferenza e che riproducono in modo drammatico le condizioni d'esistenza di ciascuno di
noi, e in modo vertiginoso alcuni abissi che solo l'arte, la poesia, la musica, la mistica fanno dischiudere,
chiedendo spesso il sacrificio dell'artista, del poeta, del musicista, del mistico?”
(Umberto Galimberti. Scoprire Il dolore dell'anima,“"La Repubblica", 12 febbraio 2007)

martedì 8 marzo 2011

DramaticaMente 8 Marzo


8 Marzo. La Storia straccia sempre parti di sè andando avanti e spera di dimenticare i graffi importanti del suo percorso, spargendo profumi, colori, tutto quello che la Speranza rende possibile. 8 marzo pallido di luce per Yara, di quella terrena intendo, perchè i nostri occhi non sanno percepire molto spesso la bellezza, l'ingenuità, la leggerenza dei pensieri e si aggrappano voracemente a quella ruota che divora gli anni, le storie, quanto accade di buono e meno buono. Vorremmo Yara qui a difendere la propria luce in ogni otto marzo ed invece qualcuno (qualcosa di noi comunque) l'ha resa luminosissima nello sfondo chiaroscurato di un mondo distratto o mostruoso. Ed accade allora che lei, come questa torpida ferita di guerra civile nella Libia che ci è vicina, nella baracca nomade da non molto bruciata con tre bambini, sposti il nostro "teatro". Gli chieda quella voce, quel gesto, quel cuore che tante volte negli anni trascorsi vi ho chiesto, nel viaggio verso l'autenticità. Il quadro si deve spostare dalla parete, deve diventare un braccio forte, maschile e femminile insieme, che solleva la coscienza dal torpore e fa riflettere. Serve della luce, anche quando lavoriamo ad occhi chiusi. Serve la luce che faccia danzare terra e luna di nuovo verso l'attesa delle cose belle ed importanti di questo pianeta, tuttavia presuntuso.
Un augurio a tutte le nostre "attrici" dai loro "attori".